Il 30 agosto 2023, a Paderno Dugnano (MI), un ragazzo di 17 anni ha ucciso i suoi genitori e il fratello minore. Dopo l’arresto, il giovane ha confessato il triplice omicidio, spiegando di aver agito in un momento di malessere interiore. Successivamente, ha chiesto di confessarsi al cappellano Don Claudio Burgio, che lo ha descritto come un ragazzo fragile, segnato da un profondo vuoto emotivo
La strage familiare di Paderno Dugnano ha lasciato un segno indelebile non solo per la brutalità dell’atto, ma anche per le parole emerse durante l’incontro tra il giovane diciassettenne responsabile e Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile Beccaria. Quando Don Burgio ha incontrato il ragazzo, quest’ultimo gli ha chiesto di confessarsi, un gesto che ha colto il sacerdote di sorpresa. “Mi ha subito citato la frase ‘Non esistono ragazzi cattivi,’ il titolo del mio libro”, ha rivelato il cappellano, mostrando come il ragazzo cercasse un momento di riflessione e pentimento.
Questo episodio evidenzia una profonda umanità e un riconoscimento del proprio gesto da parte del giovane, che ha dimostrato di essere consapevole delle conseguenze delle sue azioni. La richiesta di confessarsi non è solo un segno di un possibile pentimento, ma anche un simbolo della sua ricerca di redenzione in un momento di estrema fragilità. Don Burgio ha sottolineato la complessità della situazione, descrivendo il giovane come un ragazzo “fragile,” vittima di un vuoto interiore che gli adulti, inclusi gli stessi genitori e le figure educative, non sono riusciti a colmare.
Questo gesto, secondo Don Burgio, richiama un aspetto più profondo del dramma: l’incapacità degli adulti di rispondere adeguatamente alle domande e ai malesseri dei giovani. Il ragazzo, come tanti altri che il cappellano ha incontrato nel corso degli anni, è immerso in un “abisso” emotivo, un vuoto che si trasforma in azioni distruttive quando non viene affrontato in modo tempestivo.
Il fatto che il giovane abbia chiesto di confessarsi, ancor prima dell’interrogatorio formale, rivela anche la dimensione spirituale della sua crisi. Questo non è solo un tentativo di spiegare o giustificare il proprio atto, ma piuttosto un bisogno di ricercare un senso, un punto di appoggio in una realtà che, evidentemente, è diventata insostenibile per lui. Il cappellano ha sottolineato come questo gesto mostri una profonda vulnerabilità e una domanda di perdono, ma anche una richiesta di aiuto per comprendere un dolore che ha portato a conseguenze così devastanti.
La riflessione di Don Burgio va oltre il singolo caso, sottolineando un problema più ampio che coinvolge la società e la sua incapacità di fornire ai giovani gli strumenti emotivi e spirituali necessari per affrontare le proprie difficoltà. “In lui, come in tanti altri ragazzi, vedo un vuoto profondissimo, un abisso a cui noi adulti non sappiamo rispondere,” ha dichiarato il cappellano, invitando a un ripensamento collettivo su come la società affronta il disagio giovanile.
Il gesto della confessione, pertanto, non rappresenta solo un momento di pentimento, ma un segnale forte della crisi che i giovani stanno vivendo. È un richiamo a guardare con maggiore attenzione ai segni di sofferenza che spesso restano invisibili fino a quando non esplodono in atti tragici. Il cappellano, attraverso la sua esperienza, ci invita a un ascolto più profondo e a una riflessione più attenta sul disagio emotivo che affligge tanti adolescenti oggi.
Secondo la criminologa e psicologa forense Roberta Bruzzone, che spesso interviene in casi di questo tipo, i crimini commessi da adolescenti riflettono una combinazione di fattori emotivi e ambientali. “Gli adolescenti che arrivano a compiere crimini così efferati sono spesso immersi in un contesto di vuoto affettivo, isolamento sociale e una difficoltà a gestire le emozioni,” ha dichiarato in diverse interviste. Questo vuoto emotivo viene spesso amplificato dalla mancanza di canali adeguati per esprimere il proprio disagio. I giovani, infatti, possono trovare difficile comunicare il loro malessere ai familiari o alle figure di riferimento, che non sempre sono in grado di cogliere segnali preoccupanti.
In casi come quello di Paderno Dugnano, emerge chiaramente che non esiste un’unica causa scatenante, ma piuttosto un accumulo di frustrazioni, incomprensioni e isolamento che spingono i giovani verso l’abisso. La sensazione di non appartenere né alla propria famiglia né al proprio contesto sociale, come espresso dal diciassettenne al cappellano, è indicativa di un disagio che richiede un’attenzione speciale da parte di educatori e psicologi. Roberta Bruzzone sottolinea spesso l’importanza di una prevenzione precoce e di interventi che coinvolgano non solo il ragazzo, ma anche il nucleo familiare, per affrontare i problemi alla radice.
La psicopedagogista Barbara Tamborini, intervenuta in analisi simili, ha parlato dell’importanza di educare i giovani all’espressione emotiva e alla gestione della rabbia, due aspetti spesso trascurati. “Gli adolescenti che non sviluppano una capacità di comunicare il proprio dolore o le proprie paure possono essere più vulnerabili a esplosioni di violenza, soprattutto se non trovano risposte adeguate nel contesto familiare o sociale,” ha dichiarato.
L’aumento dei crimini giovanili può anche essere letto in chiave sociale: la pressione esercitata dalla società contemporanea, unita alla crescente difficoltà di costruire relazioni significative e al confronto con standard di successo e realizzazione difficili da raggiungere, alimenta un senso di inadeguatezza e isolamento. Bruzzone e altri esperti sottolineano che un numero crescente di giovani trova in atti estremi un modo per manifestare il proprio malessere, spesso con risultati tragici.
L’impatto delle nuove tecnologie e della rete sui comportamenti giovanili non può essere sottovalutato. Adolescenti che passano molte ore online, immersi in un mondo virtuale spesso caratterizzato da violenza o distorsione della realtà, possono perdere il contatto con le conseguenze reali delle loro azioni. Il distacco emotivo dalla realtà concreta è un elemento che complica ulteriormente il quadro.
Il giovane, reo confesso del triplice omicidio, ha dichiarato di essersi sentito oppresso e di aver visto il gesto come una “soluzione” a un profondo malessere interiore. Nonostante la gravità dell’atto, emerge anche il desiderio della famiglia, in particolare del nonno, di non abbandonarlo e di cercare un modo per rimanere accanto a lui in questa drammatica fase della sua vita.
Questo caso ci impone di riflettere seriamente sul disagio adolescenziale, sulla necessità di supporto emotivo per i giovani e sull’importanza di intercettare segnali di malessere prima che si trasformino in violenza.
È agghiacciante la normalità “apparente” di un ragazzo nella cui profondità si cela una volontà assassina studiata. Sembra una distopia tra il reale e il virtuale. Come se fosse in un videogame splitter e come lui tanti altri adolescenti.