Oltre quaranta morti accertati finora e oltre 150 feriti

La musica si è fermata all’improvviso, e con essa il battito di una notte che doveva essere festa. A Santo Domingo, durante l’esibizione del celebre cantante di merengue Rubby Pérez, il tetto della discoteca Jet Set è crollato, trasformando il concerto in tragedia. Un centinaio i feriti, lo stesso artista tra loro, e ancora incerto il numero di persone coinvolte sotto le macerie. Le autorità, intervenute prontamente con il presidente Luis Abinader in prima linea, parlano di speranza e soccorso, mentre la città, sgomenta, cerca risposte.

Eppure, di fronte a eventi simili, non basta l solidarietà istantanea o il cordoglio ufficiale. È necessario fare domande. Perché un edificio che ospita regolarmente eventi di massa – con una reputazione consolidata nella scena musicale dominicana – crolla improvvisamente in una notte qualsiasi? Quali controlli sono stati fatti? Quali segnali sono stati ignorati?

Dietro il cemento che cede, spesso, ci sono anni di incuria, appalti improvvisati, controlli mancanti o omessi, una cultura della superficialità dove dovrebbe esserci responsabilità tecnica e istituzionale. Non è solo un tetto che è venuto giù: è una fiducia pubblica che si incrina, ancora una volta, di fronte all’evidenza che la sicurezza non è mai scontata, nemmeno in luoghi pensati per il tempo libero e l’allegria.

Ciò che colpisce di più, in tragedie come questa, è la loro paradossale normalità: succedono là dove nessuno se lo aspetta, mentre si canta, si balla, si vive. Ed è forse questo che le rende ancor più dolorose. In una società dove la musica è respiro quotidiano, Rubby Pérez che canta mentre tutto crolla è una metafora inquietante di un Paese – e potremmo dire di molti Paesi – in cui la cultura e la vita quotidiana si sviluppano su infrastrutture fragili, su promesse edilizie non mantenute, su silenzi burocratici.

Ora non è il tempo delle speculazioni, ma è certamente il tempo della responsabilità. Le indagini devono essere rigorose, i responsabili – se ci sono – chiamati a rispondere, e le vittime risarcite non solo con parole ma con gesti concreti. Ma, ancora prima, è il tempo della prevenzione vera. Perché la sicurezza degli spazi pubblici non può essere affidata alla fortuna.

Il presidente Abinader ha detto che stanno seguendo il caso “minuto per minuto”. Ci auguriamo che lo stesso rigore venga applicato nelle settimane successive, quando si spegneranno le telecamere e resterà solo il dolore dei familiari, la fragilità delle ossa rotte, i suoni spezzati di una canzone mai conclusa.

La musica tornerà, perché la vita resiste. Ma non potrà farlo sullo stesso tetto. Serve un fondamento nuovo, fatto di controllo, etica pubblica e memoria. Perché ogni tragedia porta con sé non solo macerie, ma anche l’obbligo morale di imparare.