Donald Trump aveva promesso cambiamenti drastici, e gli elettori gli hanno concesso il mandato per realizzarli. Con la sua seconda elezione, l’America entra in una fase incerta, in cui le sue istituzioni e i suoi valori fondativi vengono messi alla prova come mai prima d’ora. Trump non ha mai nascosto il suo disprezzo per l’attuale establishment, promettendo di stravolgere gli equilibri del potere a Washington. E la sua vittoria, per quanto divisiva, riflette il sentimento di una larga parte della popolazione, pronta ad abbracciare una visione radicale di governo.

Le promesse di Trump includono riforme aggressive: utilizzo della forza militare per affrontare gli avversari politici, deportazioni di massa, ridefinizione dei rapporti con alleati storici, fino al consolidamento di un governo personale e punitivo. Trump ha promesso una “caccia alle streghe” contro coloro che vede come nemici interni, compresi i funzionari pubblici, militari e sanitari che si sono opposti alle sue idee. L’effetto di questo programma ha un nome: autoritarismo. Ma ciò che lo rende unico è che non è stato imposto con la forza, bensì con il consenso di milioni di elettori.

La seconda campagna di Trump ha mostrato una visione manichea del mondo: da una parte i “veri americani” pronti a riprendere il controllo, dall’altra i “traditori” che hanno contribuito al declino del Paese. Questa narrativa ha risuonato, trovando sostegno in molti degli Stati chiave e ottenendo persino una vittoria nel voto popolare. Il presidente torna alla Casa Bianca con un mandato più ampio rispetto al 2016, appoggiato da un Partito Repubblicano rimodellato a sua immagine e da una base di sostenitori disposta a ignorare o giustificare i lati più controversi del suo programma.

Questo trionfo, tuttavia, rappresenta anche una sfida profonda per la democrazia americana. La vittoria di Trump ha generato una profonda frattura non solo tra le diverse forze politiche, ma anche all’interno della società stessa. Le promesse di Trump, infatti, comprendono proposte che rischiano di trasformare il Paese: dalle politiche economiche che, secondo molti esperti, potrebbero alimentare l’inflazione, a piani di deportazioni di massa che implicherebbero costi enormi per i contribuenti e possibili crisi umanitarie.

Anche la politica estera degli Stati Uniti si prepara a una rivoluzione. L’ipotesi di ridimensionare l’impegno americano nella NATO e di riorientare le alleanze tradizionali ha destato preoccupazioni sia tra gli alleati europei sia all’interno del Pentagono. La volontà di Trump di “punire” i leader e le istituzioni che considera nemiche lo porterà probabilmente a scontrarsi con altre potenze globali, inaugurando forse una stagione di guerre commerciali e tensioni internazionali.

Per Trump e i suoi sostenitori, questa vittoria rappresenta una rivincita e una possibilità di cambiamento radicale. Ma questa spinta verso il rinnovamento autoritario potrebbe rivelarsi più pericolosa di quanto immaginato, non solo per i suoi critici ma anche per la stessa base elettorale di Trump. L’erosione delle norme democratiche e la destabilizzazione dei sistemi di checks and balances rappresentano rischi significativi per il futuro della repubblica americana.

Nel contesto di questa polarizzazione, la reazione dei democratici sarà cruciale. Dopo la sconfitta di Harris, il partito si trova di fronte a una profonda riflessione: la strategia del 2016 di resistenza è ancora valida o è giunto il momento di ripensare la propria identità e i propri messaggi? Qualunque sia la risposta, la politica americana non sarà più la stessa.

Quello che gli elettori americani hanno chiesto con questa vittoria è cambiamento. Ma il prezzo che potrebbe comportare rischia di dividere ancora di più un Paese già profondamente frammentato.