Il recente discorso di Donald Trump al Dipartimento di Giustizia ha riacceso il dibattito sulla disinformazione in politica. L’ex presidente ha riproposto una serie di affermazioni false o fuorvianti su argomenti chiave come le elezioni del 2020, l’immigrazione, il crimine e la sua stessa situazione legale. Ancora una volta, la sua strategia comunicativa si basa su un mix di vittimismo, accuse infondate e distorsione della realtà. Ma perché tutto questo continua a funzionare presso una parte dell’elettorato? E quali sono i rischi per la democrazia quando le bugie diventano strumento sistematico del dibattito pubblico?
Il mito della persecuzione e la strategia del capro espiatorio
Trump ha insistito sulla tesi secondo cui le agenzie di intelligence e il Dipartimento di Giustizia sarebbero stati “armati” contro di lui per impedirgli di tornare alla presidenza. Questo è uno schema narrativo già visto in passato: presentarsi come vittima di un complotto orchestrato da élite corrotte per destabilizzare il “volere del popolo”.
La realtà è ben diversa. Le indagini contro Trump non sono il frutto di un piano politico, ma il risultato di atti e decisioni che hanno sollevato preoccupazioni legali concrete. Il fatto che il Dipartimento di Giustizia e diversi tribunali indipendenti abbiano avviato procedimenti giudiziari è una dimostrazione del funzionamento delle istituzioni, non un segno del loro abuso.
Ma il problema va oltre il singolo caso: la continua delegittimazione delle istituzioni democratiche mina la fiducia della popolazione e contribuisce a creare un clima di sfiducia generalizzata nella giustizia, con effetti pericolosi per la tenuta democratica.
Il grande inganno delle elezioni del 2020
Uno dei punti chiave del discorso di Trump è stata la ripetizione della sua bugia sul presunto furto delle elezioni del 2020. Questo è il cuore della sua narrazione politica da quattro anni: sostenere che la sua sconfitta contro Biden non sia stata legittima.
Eppure, tutte le prove vanno nella direzione opposta:
• Non ci sono state frodi elettorali significative. Ogni riconteggio ha confermato la vittoria di Biden.
• Decine di cause legali intentate dallo stesso Trump sono state respinte dai tribunali, incluse quelle presiedute da giudici nominati da lui stesso.
• Le indagini indipendenti e le verifiche ufficiali non hanno mai trovato irregolarità tali da alterare il risultato.
E allora perché questa menzogna continua a essere ripetuta? Perché si basa su un meccanismo psicologico potente: quando le persone vogliono credere a qualcosa, tendono a rifiutare ogni prova contraria. L’elettorato di Trump è stato nutrito per anni con la retorica del complotto e, per molti, è più facile credere a questa versione distorta della realtà piuttosto che accettare la sconfitta.
Immigrazione e crimine: la paura come strumento politico
Trump ha poi toccato due temi chiave della sua campagna: l’immigrazione e la criminalità, dipingendo un’America fuori controllo, invasa da “assassini stranieri illegali, spacciatori e predatori di bambini”.
Queste affermazioni sono state smentite dai dati.
• Gli studi dimostrano che gli immigrati, anche quelli irregolari, commettono crimini a un tasso inferiore rispetto ai cittadini americani.
• I tassi di criminalità violenta negli Stati Uniti sono in calo dal 2024, contraddicendo le dichiarazioni allarmistiche di Trump.
• L’amministrazione Biden ha effettivamente rafforzato i controlli al confine, smontando l’idea che i democratici “aprano le porte” ai criminali.
Ma qui emerge una strategia ben collaudata: la politica della paura. Quando un leader non può offrire soluzioni concrete ai problemi economici e sociali, il metodo più efficace per mantenere il consenso è creare un nemico esterno su cui scaricare la colpa. Gli immigrati diventano il perfetto capro espiatorio per giustificare ogni problema interno.
La strategia della menzogna e il futuro della democrazia
Trump non è il primo politico a usare la menzogna come strumento di propaganda. Ma ciò che lo distingue è la sistematizzazione della falsità come strategia politica. Ogni sua dichiarazione segue un pattern preciso:
1. Lanciare un’accusa falsa ma emotivamente potente.
2. Ripeterla più volte finché diventa una “verità alternativa” per i suoi sostenitori.
3. Attaccare chiunque la smentisca, bollando giornalisti e istituzioni come nemici del popolo.
Questo metodo ha effetti devastanti sulla tenuta della democrazia. Se la verità diventa un concetto relativo, se ogni dato di fatto può essere smentito con una semplice dichiarazione priva di fondamento, allora il dibattito pubblico si trasforma in una guerra di propaganda senza più punti di riferimento condivisi.
Ed è qui che si gioca la vera partita per il futuro della politica americana (e non solo): il rischio è che l’esempio di Trump normalizzi la menzogna come strumento accettabile, aprendo la strada a una politica basata interamente sulla manipolazione dell’opinione pubblica.
La responsabilità dell’elettorato
Se Trump può permettersi di mentire con tanta disinvoltura, è perché una parte consistente dell’elettorato è disposta a credere alle sue parole, indipendentemente dai fatti.
Il vero antidoto a questa deriva non sta solo nel lavoro di fact-checking dei giornalisti o nelle smentite delle istituzioni. La battaglia si gioca sul piano della cultura politica: servono cittadini consapevoli, capaci di distinguere la verità dalla manipolazione.
Il problema, quindi, non è solo Trump. Il problema è una società in cui la verità conta sempre meno e l’indignazione è più forte della razionalità.
La domanda che dovremmo porci non è se Trump tornerà alla Casa Bianca, ma se la democrazia americana riuscirà a sopravvivere a questa politica della menzogna.