Il discorso inaugurale di Donald J. Trump, pronunciato il 20 gennaio 2017, rappresenta un esempio cristallino della sua cifra stilistica: diretto, carico di retorica populista e costruito attorno a una narrativa di “noi contro loro”. Attraverso una retorica volutamente semplificata, Trump ha inteso parlare direttamente al popolo, evocando immagini potenti e slogan memorabili, ma anche accentuando le divisioni che hanno caratterizzato la sua ascesa politica.
Il ritorno del popolo al centro della scena?
Uno dei passaggi centrali del discorso riguarda l’idea di “restituire il potere al popolo americano”. Trump dipinge Washington come un’élite corrotta e distante, che ha prosperato a scapito dei cittadini comuni. Questo appello alla “restituzione del potere” suona fortemente populista e accattivante, ma solleva interrogativi sulla reale fattibilità di tale promessa. La struttura del governo americano, con il suo sistema di checks and balances, rende improbabile che un presidente possa operare trasformazioni così radicali senza il sostegno di altre istituzioni.
La “carneficina americana”
Il termine “carneficina americana” utilizzato per descrivere lo stato della nazione è volutamente drammatico e quasi teatrale. Trump traccia un quadro apocalittico del paese, fatto di povertà, criminalità, disoccupazione e declino industriale. Questa rappresentazione, sebbene parziale e in alcuni casi esagerata, risponde a un bisogno emotivo del suo elettorato: identificare un nemico comune e promettere una rinascita. Tuttavia, parlare di “carneficina” può alienare chi non condivide questa visione, facendo percepire il messaggio come divisivo anziché unificante.
America First: protezionismo mascherato da patriottismo
La promessa di mettere “America First” è stata il leitmotiv della campagna di Trump e trova nel discorso inaugurale una nuova declinazione. Il presidente promette protezionismo economico, rilancio delle industrie americane e politiche commerciali incentrate sugli interessi nazionali. Tuttavia, questo approccio rischia di isolare gli Stati Uniti sul piano globale, minando alleanze storiche e contraddicendo l’interdipendenza economica mondiale. Inoltre, la frase “compra americano e assumi americano” suona più come uno slogan elettorale che come una reale strategia economica.
Un discorso privo di inclusività
Nonostante i tentativi di richiamare l’unità nazionale – come nel passaggio in cui Trump afferma che “siamo neri, marroni o bianchi, ma sanguiniamo tutti lo stesso sangue rosso di patrioti” – il discorso sembra mancare di un’autentica apertura verso l’America multiculturale. L’enfasi sul patriottismo e sull’identità nazionale, pur avendo un forte impatto emotivo, rischia di escludere segmenti importanti della popolazione americana, come le comunità immigrate, le minoranze etniche e chi si oppone alla visione polarizzante di Trump.
Un richiamo a Dio: fede o strumentalizzazione?
Il discorso si chiude con un forte richiamo religioso, ponendo Dio al centro della protezione e della guida dell’America. Sebbene questo elemento sia tradizionale nei discorsi inaugurali, in Trump suona come una mossa strategica per consolidare il sostegno dell’elettorato evangelico e religioso. Tuttavia, l’insistenza sulla protezione divina può essere vista come una retorica vuota se non accompagnata da politiche inclusive che riflettano i valori di giustizia e compassione che molte tradizioni religiose predicano.
Una promessa di grandezza o un’illusione?
Il discorso inaugurale di Trump è stato abilmente costruito per galvanizzare i suoi sostenitori e consolidare l’immagine di un leader che “fa sul serio”. Tuttavia, le sue promesse, pur evocative, sono intrise di contraddizioni e rischi. La retorica dell’America che torna grande potrebbe trasformarsi in un’illusione se le azioni concrete non saranno in grado di risolvere i complessi problemi del paese senza alienare ulteriormente una parte significativa della popolazione e senza compromettere il ruolo degli Stati Uniti nel mondo.
In definitiva, il discorso di Trump non è tanto un messaggio di unità quanto una chiamata alle armi per chi condivide la sua visione, lasciando però aperte profonde divisioni che segneranno il suo mandato.
Ho seguito la cerimonia di insediamento. Trump è determinato, ma è come se recitasse un copione…
Mi chiedo e chiedo se, contriaramente a Putin, è lui che comanda gli oligarchi o gli oligarchi comandano lui…