Il Vaticano si prepara ad ospitare, il 3 febbraio 2025, un summit internazionale sui diritti dei bambini. Un evento che, nelle intenzioni, vuole essere un punto di svolta per individuare nuove strategie a favore dei milioni di minori che vivono in condizioni di precarietà, sfruttamento e violenza. L’idea è ambiziosa e carica di speranza, ma resta da capire se sarà davvero un’occasione per azioni concrete o se finirà per essere una vetrina di buone intenzioni senza conseguenze tangibili.
Papa Francesco ha parlato con forza dell’urgenza di un impegno globale, ricordando che ogni giorno 14.000 bambini muoiono “senza la luce della speranza”. Il dato è drammatico e chiama in causa precise responsabilità. La povertà, la guerra, il degrado ambientale e la tratta di esseri umani continuano a segnare l’infanzia di milioni di persone nel mondo, spesso con l’indifferenza di chi potrebbe fare la differenza. Il summit riunirà figure di primo piano della politica e della società civile: Antonio Tajani, la Regina Rania di Giordania, l’Imam di Al-Azhar Ahmed Al Tayeb, l’ex vicepresidente degli Stati Uniti Al Gore, l’ex premier italiano Mario Draghi e l’ex presidente dell’Indonesia Megawati Sukarnoputri. Nomi di peso che potrebbero davvero orientare l’attenzione verso misure efficaci. Ma basteranno le dichiarazioni e gli applausi per tradurre tutto questo in un vero cambiamento?
La verità è che i diritti dei bambini sono violati ogni giorno sotto gli occhi di tutti. Sono le prime vittime delle guerre, della fame, dello sfruttamento e delle migrazioni forzate. I conflitti in Ucraina e in Medio Oriente, la crisi climatica che porta siccità e carestie in Africa, il lavoro minorile che alimenta l’industria globale, tutto questo è parte di un sistema in cui i più deboli sono sacrificabili. Se le istituzioni internazionali e i governi volessero davvero cambiare questa realtà, avrebbero già gli strumenti per farlo. Il problema non è trovare nuove idee, ma applicare quelle già esistenti con coraggio e coerenza.
C’è poi un altro aspetto che rende questo summit particolarmente delicato: la credibilità del Vaticano stesso su questi temi. Il summit non è incentrato sulla piaga degli abusi sui minori, ma la questione è inevitabilmente presente. La Chiesa ha compiuto passi avanti significativi nella lotta contro gli abusi, ma le ferite restano aperte e il sospetto di coperture del passato continua a pesare sulla sua autorità morale. Il rischio, in un contesto del genere, è che un evento di tale portata diventi un’occasione per rispolverare un’immagine di trasparenza senza affrontare davvero le responsabilità storiche della Chiesa.
Un altro punto critico riguarda la presenza di alcuni leader politici che, nelle loro politiche nazionali, non sempre hanno dimostrato coerenza rispetto ai temi dei diritti dell’infanzia. Mario Draghi, da premier italiano, ha gestito una politica migratoria che ha visto il respingimento di minori ai confini. Antonio Tajani appartiene a un governo che ha negato il riconoscimento legale a bambini con due madri o due padri. I leader arabi rappresentano paesi in cui milioni di minori non hanno accesso all’istruzione o sono costretti a lavorare per sopravvivere. Questi stessi leader, che oggi parleranno della protezione dei bambini, avranno il coraggio di riconoscere i propri limiti e di assumere impegni concreti?
Un elemento positivo del summit è la partecipazione attiva dei bambini stessi. Dieci di loro avranno la possibilità di consegnare un messaggio al Papa, dando voce a chi solitamente viene ascoltato solo in modo paternalistico. Un gesto simbolico importante, ma che dovrà essere accompagnato da impegni reali. Non basta dire che i bambini devono essere protetti: servono politiche efficaci, fondi destinati all’istruzione e alla sanità, il rispetto delle convenzioni internazionali contro lo sfruttamento minorile. Altrimenti, il rischio è che questo summit si riduca a una passerella per potenti, senza alcun impatto sulla vita di quei milioni di bambini che continuano a soffrire in silenzio.
Il Vaticano ha dimostrato di voler dare una scossa alla coscienza mondiale sul tema dell’infanzia. La sfida ora è far sì che queste parole non restino sulla carta. La credibilità del summit dipenderà da quello che accadrà dopo: se i leader presenti torneranno nei loro paesi con impegni concreti, se il Vaticano continuerà a lavorare sulla trasparenza e la tutela dei minori, se questa non sarà solo un’occasione di belle parole ma un reale punto di svolta. Se tutto questo non avverrà, allora il summit del 3 febbraio sarà stato solo l’ennesima occasione persa, un esercizio di retorica su una delle più grandi ingiustizie del nostro tempo.