Le immagini della festa a Tripoli sono un pugno nello stomaco per chi crede nello stato di diritto e nella dignità umana. Njeem Osama Elmasry Habish, noto come Almasri, capo della polizia giudiziaria libica e accusato di crimini contro l’umanità, è tornato in patria accolto come un eroe. Arrestato a Torino su mandato della Corte Penale Internazionale (CPI) per torture e altre atrocità, Almasri è stato rilasciato in Italia per un presunto vizio di procedura. Ora festeggia indisturbato, mentre il governo italiano tace imbarazzato.
Un caso di incompetenza o connivenza?
L’arresto di Almasri avrebbe potuto rappresentare un passo significativo per riaffermare il ruolo dell’Italia come difensore dei diritti umani e come partner credibile nel sistema giuridico internazionale. Invece, un presunto errore procedurale – la mancata comunicazione preliminare con il Ministero della Giustizia – ha portato la Corte di Appello di Roma a disporre la scarcerazione immediata. Un errore che non solo mina la fiducia nelle nostre istituzioni, ma solleva inquietanti interrogativi: si è trattato di semplice incompetenza o di un calcolato atto di convenienza politica?
La scelta di non rispettare le procedure previste, in un caso così delicato, non può essere archiviata come un incidente burocratico. Come è possibile che l’arresto di un uomo ricercato dalla Corte Penale Internazionale, per crimini contro l’umanità, venga trattato con tale leggerezza? È forse il prezzo di un accordo silenzioso con Tripoli per garantire il controllo dei flussi migratori o proteggere interessi economici italiani in Libia?
Il silenzio assordante del governo
Il governo Meloni, che non perde occasione per proclamarsi difensore della sovranità nazionale e della legalità, non ha fornito una spiegazione convincente. Mentre l’opposizione, unita in modo raro, chiede chiarezza e responsabilità, Palazzo Chigi si rifugia in un silenzio che sa di complicità. Elly Schlein, Matteo Renzi e altri leader di opposizione hanno giustamente preteso che la premier e il ministro Nordio riferiscano immediatamente in Parlamento.
Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, è il principale destinatario delle critiche. Come è possibile che un caso di questa portata sia stato gestito in modo così dilettantesco? E perché, di fronte a una questione che coinvolge credibilità internazionale, giustizia e diritti umani, il governo non ha reagito con fermezza e trasparenza?
Dalla giustizia alla diplomazia: un fallimento su tutti i fronti
La scarcerazione di Almasri non è solo un fallimento della giustizia italiana, ma anche un’umiliazione diplomatica. L’Italia, che si propone come ponte tra Europa e Mediterraneo, ha dato prova di incapacità nel far rispettare le regole internazionali. La festa a Tripoli è un simbolo del nostro fallimento: un torturatore torna a casa come un eroe, e il nostro Paese appare incapace di garantire giustizia.
Questa vicenda danneggia anche la credibilità della Corte Penale Internazionale, già debole in contesti geopolitici complessi come quello libico. Se uno Stato membro come l’Italia, che dovrebbe essere tra i difensori della legalità internazionale, si dimostra così inefficiente, quali possibilità ha la CPI di far valere le proprie sentenze?
Le implicazioni politiche
Il governo Meloni ha costruito gran parte della sua narrativa sulla sicurezza e sul controllo dei confini. Eppure, in questo caso, sembra aver sacrificato la giustizia sull’altare di una politica estera opaca, orientata a mantenere buoni rapporti con un regime libico che spesso si è dimostrato inaffidabile e complice di abusi sui diritti umani.
Se il rilascio di Almasri è il risultato di un accordo implicito con Tripoli per bloccare i migranti nei lager libici, siamo di fronte a un tradimento dei valori fondamentali della nostra Costituzione e dei diritti umani. È inaccettabile che il nostro Paese si pieghi a logiche di potere che calpestano la dignità umana.
Cosa resta della nostra credibilità?
Il caso Almasri è un campanello d’allarme per l’Italia. Il nostro Paese rischia di perdere ulteriormente la sua autorevolezza sul piano internazionale. La gestione dilettantesca e il silenzio colpevole del governo Meloni non sono solo un errore politico, ma un’offesa alla giustizia e ai diritti umani.
Se l’Italia vuole continuare a essere un Paese che si batte per la legalità e la dignità umana, deve fare chiarezza. È tempo che il governo smetta di nascondersi e assuma le proprie responsabilità, per evitare che casi come quello di Almasri si trasformino in un paradigma di vergogna nazionale.