“Cosa c’è di più brutto della guerra?”
La celebre frase di Hemingway ben si addice al conflitto in corso nel cuore dell’Europa tra Ucraina e Russia.
La durata del conflitto e il modo di mediatizzarlo stanno anestetizzando le coscienze e le emozioni di tanti.
Grazie alle colleghe ucraine Alexandra Rojkov e Katja Lutska, la rivista Der Spiegel fa conoscere al grande pubblico una storia vera che ci obbliga alla riflessione.
Dietro ogni proiettile od ogni bomba ci sono conseguenze devastanti da ambo gli schieramenti.
È il caso di Andrij e Alina (nomi veri) una giovane coppia di sposini la cui vita è stata sconvolta da quella che Putin ha definito “operazione speciale”.
Chiunque ascolti Andrij nella sua stanza d’ospedale sperimenta tutto l’orrore della guerra. Andrij racconta la sua esperienza con il sibilo di aria che spiffera dalla sua trachea tagliata per salvarlo.
Le braccia di Andrij sono solo ceppi, invece di occhi ha delle fessure da cui sporgono le singole ciglia.
Andrij: “Ho incontrato Alina cinque anni fa. Ricordo anche il giorno: era l’8 Giugno 2018. Era il compleanno di un amico, Kiev era magica, siamo andati in un bar e un altro amico è venuto con Alina”.
Alina Smolenska: “Ricordo che era un ragazzo affascinante e intelligente. Dopo la mezzanotte tutti erano ubriachi, ma Andrij voleva parlarmi di filosofia! Aveva letto Aristotele poco prima e si occupava della questione del senso della vita. L’ho trovato impressionante.”
Andrij: “Tre mesi dopo le ho fatto una proposta di matrimonio.”
Nel settembre 2019, Alina e Andrij si dicono il loro sì. All’epoca avevano entrambi 23 anni.
Andrij: “Ci siamo sposati nella Cattedrale di S. Vladimiro a Kiev, una delle più belle chiese dell’Ucraina. La cerimonia è stata commovente. C’è stato il momento in cui il prete ha chiesto: Sei pronto ad assumerti la responsabilità di questa persona? Non pensare più con l’ “io”, ma col “noi”. Questo è quello che volevo. Volevo che non fossimo più solo Alina e Andrij, ma una famiglia”.
Nell’inverno prima dell’inizio della guerra, Alina e Andrij vivono a Kiev. Andrij è fa il consulente azientale.
Suona la chitarra e canta in una band.
Alina lavora in una start-up e aiuta le aziende ucraine ad attirare clienti su Amazon o Ebay.
La coppia viaggia molto, incontrano gli amici. Sono felici.
Andrij: “Durante una festa ci annoiammo e le dissi: ‘Andiamo ai Carpazi domani!’ Abbiamo poi preso il primo treno libero e siamo saliti sulla Howerla, la montagna più alta dell’Ucraina.”
Alina: “È stato nel bel mezzo dell’inverno! La neve era così alta che si vedevano solo le cime degli abeti. Non avevo mai scalato le montagne. La prima volta è stata con Andrij. Minacciava una tempesta di neve, ma quando Andrij è con me, non ho paura di nulla.”
Andrij: “Circa un mese prima della guerra, un amico mi ha detto: ‘Andrij, ho la sensazione che saremo presto attaccati’. Ho risposto: ‘che razza di idiota sei?’ Non potevo immaginare che la Russia avrebbe preso un rischio del genere. Mi sbagliavo.”
Alina: “La mattina del 24 febbraio siamo stati svegliati dallo squillo del mio cellulare. Un amico ha detto: Svegliati, ci sono esplosioni a Kiev. Stiamo lasciando la città e dovresti farlo anche tu. Mi sono fatta prendere dal panico. Volevo fuggire, cercare il bunker più vicino… Andrij mi ha trattenuto. Ha detto: ‘Ora ti sdrai a letto con me e ti calmi’.”
Andrij: “Abbiamo deciso che Alina sarebbe andata con mia madre e mia sorella nell’Ucraina centrale, a Winnyzja. I miei nonni vengono da lì, la mia famiglia ha un appartamento lì. Io e mio padre saremmo rimasti a Kiev per difendere la città”.
Alina: “Volevo convincere Andrij a venire con noi. È stato inutile. Ha detto: ‘non vado da nessuna parte. Questa è la mia casa e la proteggerò’”.
Nelle settimane successive Andrij si offre volontario per combattere la contro l’invasore russio. Si presenta nell’esercito e nella difesa territoriale, una sorta di milizia civile. Ovunque viene rifiutato perché non ha esperienza di guerra.
Andrij: “Avevo paura. Nella primavera del 2022 ho vissuto da solo a Kiev per diverse settimane, ogni giorno c’era un allarme aereo. Gli edifici residenziali sono stati distrutti, i bambini sono morti. Ho pensato: non vedrò mai più mia moglie… Ma ero anche follemente arrabbiato. Cosa credono di essere questi russi? Chi dà loro il diritto di invadere un paese straniero e massacrare la gente qui?”
Un amico dice ad Andrij che l’esercito ucraino dovrebbe ancora cercare volontari nelle città più piccole. Nell’aprile 2022, si iscrive al servizio a Winnyzja – e viene preso. Alina ha lasciato l’Ucraina da poco: fugge in Francia con la madre di Andrij e sua sorella.
Andrij: “Sono stato assegnato alla fanteria, cioè alle truppe che vanno a piedi e combattono con le pistole. L’esercito era piuttosto caotico all’epoca. Un compagno era barista, un terzo gestiva una start-up. Il mio autista era un alcolizzato. Per fortuna è stato trasferito rapidamente”.
Ad Andrij viene consegnato un lanciagranate. Impara a prendere d’assalto gli edifici e a trasportare i feriti. Si lascia spiegare dai cecchini come uccidere a distanza. Come tutti i soldati, Andrij riceve un nome di combattimento. I suoi compagni lo chiamano Apostolo.
Quando Andrij arriva a Bachmut, viene a sapere che un’altra unità è stata inviata sul campo di battaglia al posto della sua.
Andrij: “Uno dei maggiori problemi in prima linea è la comunicazione. Un gruppo di soldati avanza ma non sa cosa c’è un chilometro più avanti perché i russi interferiscono con il segnale. Con i droni è diventato più facile. Ogni plotone di fanteria aveva il proprio conduttore del drone che poteva dire: ora a destra, state attenti lì dietro, meglio, lanciamo una granata. Siamo usciti ogni giorno e abbiamo fatto ricognizione.”
Andrij: “Il 25. Maggio 2023 ho avuto un incarico nella zona di Zaporizhja. Avevamo dovuto prendere la nostra posizione di notte, ma ci siamo fermati per il ritardo. Quando siamo arrivati, era già mattina. La linea del fronte era vicina. Ero già seduto in trincea, ma dovevo ancora prendere un drone. Mi sono steso e ho allungato le braccia sul bordo del fosso. Questa è l’ultima cosa che ricordo.”
Alina: Dovevo lavorare in smart working. Ero seduta davanti al mio portatile, quando un amico, che è anche un soldato, mi ha scritto chiedendomi se fossi a casa. Quando ho detto di sì, ha detto che era alla mia porta e doveva parlarmi. Ho capito subito che c’era qualcosa che non andava…
C’era con lui uno psicologo militare. Mi ha portato due messaggi. Il buono: ‘Andrij è vivo’. Il cattivo: ‘ha perso entrambe le braccia e almeno un occhio in un attacco russo. Un proiettile gli ha strappato diversi arti, gli ha fatto a pezzi la mascella, il naso e gli occhi’.
Andrij era così ferito nell’esplosione che i suoi compagni pensavano fosse morto.
Ho iniziato a piangere. Ho chiesto ai soldati: cosa significa che Andrij non ha più braccia? Cosa gli succede ora? Gli stessi messaggeri non ne sapevano più di tanto. L’attacco era appena avvenuto.
Volevo vedere Andrij subito. Ho iniziato frettolosamente a fare i bagagli. Oggi mi sorprende quello che ho portato con me. Per esempio, non ho pensato al mio passaporto, ma ho inserito il trucco e il profumo. Ho pensato: ‘forse Andrij si sveglierà, e poi voglio essere bella per lui e avere un buon odore’. Quanto mi sembra ridicolo oggi.
Prima di partire sono andata in chiesa, si trova proprio accanto a casa nostra.
Ho acceso una candela e ho chiesto a Dio: ‘Per favore, fai in modo che Andrij sopravviva. E salva ciò che puoi salvare dal suo corpo’“.
Andrij era in coma in quel momento, in una clinica a Zaporizhja nel sud-est dell’Ucraina. Alina arriva il 27 maggio lì verso l’una di notte. In realtà, l’orario di visita è finito, ma i medici le permettono venti minuti con suo marito.
Alina: “Il viso di Andrij era completamente bendato, solo i suoi capelli uscivano fuori. Aveva enormi ferite al collo, al petto e alle braccia. Tra le bende c’era un tubo che lo nutriva.
Mi sono seduta con lui e ho parlato con lui. Gli ha sussurrato all’orecchio quanto mi è mancato. Ora andrà tutto bene, ho detto, sono con te. Siamo una famiglia. La cosa più importante è che siamo insieme”.
Andrij: “Non poteva sapere che ero completamente sordo in quel momento. Non ho sentito le sue parole. Ma ho sentito che c’era Alina”.
Andrij è rimasto in coma per tre giorni. I medici hanno lottato per la sua vita. Gli hanno ricostruiscono parti del suo apparato uditivo. Ma i suoi occhi sono troppo feriti. Alla fine di maggio, Andrij si sveglia in una clinica, cieco e senza braccia.
Andrij: “Immagina di svegliarti, ma tutto è nero. Senti che sta succedendo qualcosa intorno a te, ma non puoi parlare, la tua bocca è legata. Stai cercando di sentire ciò che ti circonda, ma non funziona, e non capisci perché. È stato un incubo. Ho sentito delle voci, quindi sapevo che c’era qualcuno. La mia unica possibilità di comunicare è stata quella di dipingere lettere con i piedi in aria. Ho scritto: ‘Dove sono? Cosa è successo?’”
Alina: “Il medico ha spiegato ad Andrij che è stato ferito in un attacco e che hanno dovuto amputare le sue braccia e rimuovere i bulbi oculari. Ma Andrij era sotto forti antidolorifici, probabilmente non l’ha capito, o l’ha dimenticato di nuovo”.
Andrij: “Le prime settimane ho pensato di indossare una benda e quindi di non vedere nulla. A giugno sono stato trasferito all’ospedale di Kiev. Lì il medico mi ha detto: ‘Andrij, non hai più occhi. Sei cieco e al momento non c’è tecnologia che possa cambiare le cose’”.
Tra 20.000 e 50.000 ucraini, secondo una stima hanno perso le braccia o le gambe in questa guerra. Molti in seguito ottengono protesi, grazie alle quali conducono una vita relativamente normale. Ma il caso di Andrij è più complicato: le protesi del braccio non gli servono a quasi nulla, perché non vede ciò a cui si sta avvicinando. E i ciechi spesso si orientano anche con le mani, che Andrij non ha più.
Presumibilmente, il ventisettenne dipenderà dal sostegno altrui per tutta la vita: quando mangia, beve, va in bagno…
Andrij: “Sono rinchiuso in una grotta. Non vedo nulla. Non ho più braccia e non riesco a sentire nulla con le mani. Il mio senso dell’olfatto è perso. Da un orecchio sento il settanta per cento, dall’altro niente.
All’inizio, tutti ti dicono: ‘è solo temporaneo’. Ma quando ho sentito il medico, tutto è crollato. Mi sono reso conto che non vedrò mai più il sorriso di mia moglie. Non le terrò mai più la sua mano quando salirò su una montagna. Quei momenti di felicità, che conservi come perle, che non mostri a nessuno, perché sono così preziosi che non vuoi rovinarli, non li rivivrò più. Ricordo che ho iniziato a piangere. I miei amici erano seduti al mio letto. Ho detto loro: ‘chiama un medico, voglio un sonnifero’. Dammi qualcosa per non essere più cosciente”.
Alina: “Il dolore e la paura che ho sentito in quel momento sono difficili da descrivere. Dipendo dall’umore di Andrij: se sta bene, sto bene anche io. Se è triste, lo sono anch’io. Ma quel giorno ho cercato di non disperare. Mi sono sdraiata nel letto d’ospedale accanto ad Andrij, l’ho abbracciato in modo che mi sentisse. Gli ho detto: ‘Attraverso questo, staremo insieme’”.
Andrij: “I medici mi hanno dato un sedativo, ma questo ha solo peggiorato le cose. Ho avuto un tale dolore. Pensavo di perdere la testa.
Da quando non vedo più nulla, a volte immagino una torcia nel buio. Rappresenta la fede in me stesso, nella mia forza. Quel giorno la torcia diventava sempre più piccola. A un certo punto era così piccola che quasi scomparve.
È andata così per 48 ore. Due giorni in cui tutto era nero, ancora più nero del solito. E poi all’improvviso ho pensato: ‘a quel paese le montagne, la carriera, tutto. Sono vivo, e questa è la cosa più importante. Sì, non vedo più niente, sì, non ho braccia. Ma ho così tanto altro!’ Ho la mia mente che funziona come prima. Ho amici, i miei genitori. Mia moglie. Ho afferrato la torcia e l’ho tenuta il più possibile. Quando sono tornato in me, l’apostolo era morto. E sono nato di nuovo”.
Andrij: “Ero un manager prima della guerra, e lo sono ancora. Nella mia testa ho orari e grafica di tutto ciò che voglio fare. Ad esempio, parlo alle conferenze e racconto come vivere come un veterano cieco e di quale sostegno abbiamo bisogno. Naturalmente, questo è possibile solo perché Alina mi aiuta. È un’eroina”.
Alina: “Oh Andrij, per favore non dire una cosa del genere…”
Andrij: “Ma è vero”!
Alina vive in ospedale con suo marito da settimane. Si è presa una pausa dal suo lavoro, ora passa le giornate con Andrij. Lo aiuta a vestirsi e a lavarsi, lo nutre con il cucchiaio e tiene il suo bicchiere quando beve. Quando camminano intorno alla clinica la sera, Alina lo mette sottobraccio e lo guida. Nella conversazione, Andrij a volte appoggia istintivamente la testa sulla spalla di Alina: sembra sentire dove si trova ogni parte del suo corpo.
Alina: “Certo, a volte sono stanca. Andrij dice spesso: ‘vai pure, riposati a casa’. O ancora: ‘incontra un’amica’. A volte lo faccio per un’oretta. Poi torno da lui. Lo amo.
Una volta ero ambiziosa e lavoravo molto. Da quando Andrij è stato ferito si riconosce ciò che è veramente importante. Per esempio, davo molta importanza al mio aspetto, ma oggi non lo faccio più. L’unica persona per cui voglio essere bella non mi vede”.
Andrij: “Tutto ciò che è materiale passa in secondo piano. Carriera, soldi… ma chi se ne frega? Non m’importa altro. Finché ho mia moglie, posso farcela. Lei è la mia fede, è la mia felicità”.
Alina: “Ricevo così tante lettere che non riesco a rispondere a tutte. Alcune persone vogliono solo esprimere le loro condoglianze. Altri scrivono di sapere di un medico che può aiutare Andrij. L’altro giorno il mio cellulare ha squillato ed è stata la volta di un maggiore in pensione dell’esercito ucraino. Aveva trovato il mio numero in un registro militare. Voleva assolutamente dire che conosceva persone negli Stati Uniti che potrebbero essere in grado di curare Andrij”.
Andrij: “Anche mio padre, che può essere un bel brontolone, dice: ‘da quando vedo quanto sostegno ricevi, credo di nuovo nell’umanità’. I miei amici mi hanno fatto una tastiera che mi permette di digitare note nel mio telefono con i piedi. Una compagna di classe, con la quale non ho avuto contatti per dieci anni, ora mi porta tutto ciò di cui ho bisogno, sia che manchi una maglietta che una bottiglia d’acqua. Gli estranei mi scrivono: mantieniti forte, crediamo in te.
Ora so che con il mio impegno non ho solo protetto alcuni connazionali sconosciuti, ma una grande famiglia: l’Ucraina. Sono cieco, ma sento il calore di centinaia di persone”.
Andrij: “Non mi pento di di esseri arruolato come volontario nell’esercito. Sì, ho perso le braccia. Ma so per cosa l’ho fatto.
Ogni giorno muoiono ragazzi in battaglia che sono uguali a me. Sono pieni di forza, hanno progetti di carriera, donne che li aspettano … e poi improvvisamente è finita. Danno la loro vita per la libertà.
Siamo loro debitori per continuare la lotta, non abbiamo il diritto morale di arrenderci. L’Europa deve continuare a sostenerci, non solo al cinquanta per cento, ma al cento per cento. Sì, è rischioso, sì, è spaventoso. Ma è l’unica cosa giusta”.
La porta della clinica di Andrij si chiude alle 22. Alina mette il marito a letto. Lei gli toglie i vestiti, lo lava con un panno umido. Gli lavi i denti. Si stende accanto a lui e lo coccola sotto il suo braccio destro, che è solo un moncone.
Alina: “La mia vita è cambiata, ma i miei sogni sono rimasti gli stessi. Vorrei una casa dove io e Andrij possiamo costruire il nostro nido. Vogliamo bambini, preferibilmente cinque. E due cani! Voglio un dalmata, Andrij un Weimaraner. Questa razza ha bisogno di molto esercizio, e ad Andrij piace fare jogging. Penso che presto potrà tornare a farlo.
Alcune persone trovano ammirevole che io rimanga con Andrij. Non capisco. Lui è mio marito, lo amo. Nella gioia e nella sofferenza, è così che abbiamo promesso l’un all’altro. E questo non cambierà mai”.